Ci sono tanti modi di documentare e raccontare la realtà: Giuliano Pavone crea immagini molto vive, ma con le parole. Il suo ultimo libro è “Venditori di fumo. Quello che gli italiani devono sapere sull’Ilva e su Taranto” e racconta al resto del mondo la storia di una città tanto bella quanto offesa.
Giornalista, romanziere, saggista: qual è la tua incarnazione preferita? O sono tutte “sempre meglio che lavorare”?
Amo definirmi uno “scrivente”: l’unica costante della mia attività è proprio la scrittura, declinata in tutte le sue “incarnazioni”, che sono più numerose delle tre che citi. E in questo mix c’entra anche il “sempre meglio che lavorare”: scrivere è così bello che a volte si fa davvero fatica a considerarlo un lavoro, ma se si vuole vivere di scrittura bisogna trovare un equilibrio fra attività piacevoli e redditizie.
Fra l’altro, in Venditori di fumo ho provato ad abbinare la forma saggistica a quella narrativa, secondo un modello di docufiction che non consiste nel romanzare i fatti (sminuendone così l’attendibilità) ma nell’affiancare alle parti strettamente giornalistiche altre pagine più evocative e “di contesto”, mettendole però al servizio di quello che resta lo scopo di un saggio: la comprensione di un evento o di un fenomeno.
In “Venditori di fumo” parti da un’immagine e da un sonoro: invidi un po’ chi ha scelto uno strumento espressivo che permette di far vedere e sentire quello che si racconta?
Sì, anche se in compenso un libro si può scrivere da soli con un blocchetto e una penna, mentre le produzioni cinematografiche, anche le più semplici, sono molto più complesse. Scrivendo, si cerca anche di evocare immagini, pur sapendo che su quel terreno il confronto con le arti visive è perso in partenza, ma ci si rifà con l’immaginario, dove invece vince la scrittura. Recentemente una pianista con cui ho fatto un reading musicale (a proposito di diversi strumenti espressivi…) mi ha detto che la mia scrittura è insieme visiva e introspettiva. Lo considero uno dei più bei complimenti che mi abbiano fatto come “scrivente”, perché mi viene riconosciuta la capacità di usare il mezzo espressivo in tutta la sua potenza.
Scrivi in bianco e nero o a colori?
Dipende: ogni libro ha un direttore della fotografia diverso!
Regala un soggetto a un documentarista: che storia vorresti veder narrata?
Non riesco a immaginare un soggetto per un documentario (o se è per questo neanche per un film) che non sia contemporaneamente spendibile come sinossi per un mio lavoro di scrittura. Perciò preferisco tenere segrete le mie idee e poi dare appuntamento a documentaristi, sceneggiatori e (soprattutto!) produttori dopo la pubblicazione. Vedere una nuova opera creativa che scaturisce da una tua opera creativa è un’emozione molto forte, che per ora ho provato con il fumetto tratto dal mio primo romanzo, “L’eroe dei due mari”. Quanto al cinema, spero che succeda presto.
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